3 Testi: Renzo destini ricevuti via email il 08/12/20)

DT SF 21 Bacco Artolini San Francisco photography art

3 Testi: Renzo destini ricevuti via email il 08/12/20)

L’ Antenna dell’ Universo verso la Mente Complessa


Homo sapiens, primato, punta del percorso evolutivo sul pianeta Terra ed altrove. Macchina funzionale ad interagire intelligentemente con l’ambiente che lo circonda. Mani, fuoco, utensili i materiali per modellare e dominare.
Nasce poi la parola, nasce la scrittura, nascono le società, nascono le città.

Cosa muove tutto questo? Il pensiero, l’operato della mente traduttrice degli stimoli sensoriali.


La mente irrompe nella percezione umana come quello strumento necessario ad elaborare e ordinare gli stimoli esterni, rendendo più funzionale e vitale gli utensili prima mossi dal solo istinto.
Ma la mente ancora nasconde potenzialità per l’essere umano. Esistono aspetti della mente funzionali all’ ulteriore salto evolutivo della specie.
Se prima erano i sensi e poi il pensiero, esiste una porzione inesplorata rappresentata dalla Mente
Complessa. La Mente Complessa non è una parte del cervello umano, ma conseguenza dell’interazione di diverse parti.

Questa struttura non risponde agli stimoli sensoriali, ma rende conto dell’intangibile,
dell’invisibile…mentre in un insieme di cose possiamo vedere le cose singolarmente e non le connessioni che caratterizzano l’insieme, le connessioni sono rilevabili solo indirettamente dall’avanzamento del risultato dell’insieme; continuando però a non sapere e a non comprendere l’origine di tale avanzamento.
Anche il pensiero di per sé, altro non è che il funzionamento di differenti parti della mente…certamente è così. Ciò che differisce il pensiero dalla Mente Complessa è che quest’ultima strutturalmente non interagisce solo con gli elementi coinvolti all’interno della scatola cranica, ma si affida anche all’immensa struttura dell’universo.


La Mente Complessa è allora in grado di leggere le connessioni ed analizzarle, sceglierle, migliorarle. Come è possibile un talento del genere? La nostra esistenza materica in quanto etere vibrazionale origina dalla medesima fonte. Questa fonte è sensibile ai feedback della stessa materia da cui origina e si modella. La Mente Complessa è sensibile a queste modificazioni ed è capace di interagirvi quindi modificando se stessa.

L’essere umano è l’antenna tra terra e cielo, tra divino e terreno, tra denso e leggero…è strumento di
passaggio della dualità che si manifesta nella mente di chi esiste. L’unità universale da cui tutto parte quindi attraversa il ponte vivente separandosi nella percezione quando tradotta dalla mente.
L’essere umano è l’occhio dell’universo.

Diversamente da altri animali che non percepiscono la danza duale che l’universo festeggia dentro di loro, ma sono mossi dalle sole esigenze vitali tradotte da questa dualità. Eppure generano complessità. Cosa succede invece all’essere umano? Distingue un bisogno istintivo da una necessità più alta ed è questa distinzione che interessa all’universo. Un interesse indagatore della sua stessa natura. Il regno vegetale è poi un potente amplificatore di questa percezione, oltre che alimentatore della complessità.


Si può immaginare un futuro senza l’utensile (la tecnologia)? La mente è l’unico strumento utile, non per dominare, ma per essere assieme. Quando si è assieme ogni bisogno e desiderio è esaudito. Forse a quel punto l’universo cesserà di esistere? Forse si perché non sarà percepito, oppure no. Scoprire le connessioni e sentirle corrisponde a divenire consapevoli dell’Unità. Divenire consapevoli dell’Unità fa sparire la dualità e la danza. Questo però non può accadere perché nel momento in cui si percepiscono le connessioni automaticamente scatta anche la distinzione delle stesse. E comunque all’Universo è evidente che piace danzare…

Visione
“Un giovane poco popolare osserva in disparte gli amici e compagni mentre esibiscono le loro abilità sulla pista da ballo appositamente allestita per l’evento scolastico di fine anno più atteso da tutti. Qualcosa gli fa desiderare di volersi trovare altrove eppure già sa che chiudendo gli occhi può dirigersi ovunque preferisce. Inaspettatamente una giovane gli si avvicina stimolandolo a ballare anche lui. Lui risponde che in realtà già sta danzando. La giovane, dopo una curiosa osservazione di quella risposta, si siede con lui. La festa di sposta altrove.”

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Frammenti del Destino – Riconoscersi nell’infinito

Oceani, cieli della Terra

Specchio dell’infinito ignoto

Orizzonti verso vite sconosciute

Continuità sensoriale nell’esistenza frammentata

Increspature vitali dinamizzano la percezione

Riflessi di se da una superficie prima congelata

Tornano a risuonare nella vibrazione

Oscurità profonda in un vuoto orizzonte

Non esiste confine alcuno tra oceani e cieli

Quale è il cielo e cosa è l’acqua che mi culla?

Sono navigatore spaziale nel mentre che nuoto nel profondo dell’inconscio

Nuota, vola verso quel profondo

Irraggiungibile la meta dell’infinito

Un desiderio così remoto

Quel desiderio appaga l’esistenza

Oh! Stelle dell’infinita volta

Non siete forse voi a riflettere la vita nell’universo?

Madre della materia e dell’io estroverso

Con la vostra luce perforate l’oscurità passandone attraverso

Cronache del Destino – I Cerchi dell’Universo

Ogni passo fa emergere la paura del nemico. I suoni metallici allo scorrere del mio percorso lungo i freddi piani assordano le mie ansie che si fanno sempre più vivide e tangibili. Continuo a seguire l’indicazione fornita: una sala macchine nei meandri oscuri di questo androne.

Non sento passi appresso, ne alito mordente, solo i risuoni dei miei spostamenti. L’eco del mio peso interiore che si riverbera in questi luoghi vacui. Rispetto ad altre percezioni, ciò che provo è raccolto dai sensi convenzionali, come un’alternanza di momenti di essenza e assenza in questo percorso alle soglie della percezione umana.

E’ come se avessi riacquistato le mie forme, i miei confini e le mie distrazioni umane. Forse sono funzionali a questa esperienza percettiva?

Mano a mano che la mia discesa alimenta le tensioni, i rumori dei miei spostamenti divengono sempre più marginali rispetto a qualcos’altro che sta emergendo. Il metallo pare l’elemento compagno di questa esperienza, ma stavolta non si tratta di suoni generati dalla presenza umana. Tutt’al più pare di sentire come il funzionamento di macchine che scontrando e sfregando le proprie superfici alimentano l’idea di un processo in atto.

I nuovi stimoli uditivi si fanno sempre più intensi, facendomi scordare di quell’assurda ansietà che il cammino provocava. Diversamente però, l’ansietà non pare smarrita del tutto: l’impossibilità di percepire i suoni da me provocati, alimenta la preoccupazione per chi o cosa mi stava seguendo. Mentre prima potevo avere qualche possibilità di percepirne la presenza, ora il suo avvicinamento sarebbe stato estremamente furtivo.

Nulla rimane che proseguire a testa alta nella speranza di raggiungere quelle macchine in movimento.

La discesa pare interminabile così come le paure ed il peso accumulati. E’ come se più ci si avvicinasse a questi marchingegni e più se ne percepisse il peso come peso della propria esistenza. Dall’ultima tornata delle scale metalliche, una luce intermittente scandisce nei momenti di chiaro, l’assenza di ulteriori rampe. 

Nessuna porta, nessuna ulteriore indicazione. Solo una fessura tra le pareti da cui una calda luce penetra fendendo questo ambiente ostile. Rincuorato, facendo pressione sulla fessura nulla accade. Come per istinto mi ritrovo posato a osservare quella fessura con il piano luminoso nell’intento di fendere la mia figura. Quella luce ora in mezzo agli occhi diventa un lampo accecante che mi trasporta aldilà della parete.

Come fossi passato dall’anticamera di un’astronave, ora il peso non era più pressante così come le ansie e le paure che portava appresso. Mi ritrovo come dinnanzi ad un belvedere, avvolto da un giallo oro caldo vitale che nutre l’anima. Quel calore è insito nella natura della stanza in cui mi ritrovo, come generato dall’attrito originato dal funzionamento degli enormi ingranaggi che dall’alto potevo osservare.

Il loro movimento è fluido e ininterrotto, nulla può frapporsi tra i denti delle ruote perché nulla è della stessa materia di cui sono fatti. Li osservo mentre nelle loro rotazioni alimentano il moto di un’asta che raggiungendo le vette di un soffitto sconfinato, agiscono sulle forze di altri livelli dell’universo. Ricordo dei tre cerchi concentrici su cui mi posai nella fuga dalla grande massa e all’interno dei quali mi rifugiai.

Un cartello narrante in prossimità delle sponde su cui sono posato, racconta di quanto sto osservando: “Quel movimento muove strati dell’esistenza, che a  loro volta muovono altri strati. Ogni movimento è funzionale ad un livello della percezione, come macrocosmo e microcosmo. Livelli apparentemente separati, ma che originano dalla medesima fonte di moto. Il solo movimento rotatorio, per quanto sia la fonte non è però sufficiente, da solo, a tradurre la complessità dell’esistenza. Difatti da queste rotazioni emergono ulteriori direzioni e forme che danno origine alla diversità percettiva tramite le geometrie universali. Queste deviazioni di moto creano però delle inefficienze distributive che si traducono nell’entropia. Il prezzo da pagare per consentire la realizzazione di una così ampia complessità”.

La domanda in me sorge alquanto spontanea relativamente alla natura del moto originario. Cosa è che lo alimenta e quando ha cominciato a roteare?

Forse vi sono delle vie per scendere ulteriormente ed esplorare. Guardando attorno nulla però avrebbe acconsentito ad una tale occasione. Sporgendomi ulteriormente, una scala verticale come volutamente nascosta alla mia vista diviene l’oggetto del tentativo di discesa.

Più la scala si insinua tra i folti meccanismi e meno la calda luce riesce a penetrare, fino poi a scomparire. Nella discesa mi accorgo che addirittura le pareti che circondano il complesso meccanismo cominciano a terminare, fino a che, senza nemmeno accorgermene mi ritrovo ancora appeso alla scala immerso però in un cielo stellato.

La grande macchina lì era terminata e con essa la possibilità di continuare la discesa. Non vi è però nulla che all’apparenza fornisca energia agli ingranaggi per poter funzionare, ma solo una fila di ingranaggi sempre più piccoli che progressivamente forniscono il moto l’uno all’altro fino a scomparire nell’immensità dell’universo subatomico. 

Nella delusione di non aver ottenuto la risposta mi rendo conto di potermi staccare dalla scala e poter camminare liberamente nello spazio attorno. Come se quanto percepito non fosse altro che il riflesso proiettato su di una superficie trasparente. Mi avvicino allora all’infinita fila di ingranaggi sempre più microscopici fino ad accorgermi di non poter più proseguire, come se la grande macchina fosse circondata da un’enorme bolla di vetro.

Sforzo i miei sensi verso il termine della fila di ingranaggi cercando di percepirne i dettagli, ma ciò che vedo è come un sogno: il senso è come quello di essere proiettati infinite volte a osservare se stessi mentre si osserva se stessi che si osserva se stessi perdendo ogni cognizione dell’ambiente attorno. Distogliendo lo sguardo ecco ricomparire la grande macchina che continua imperturbata.

“Ora spero tu abbia capito da cosa è rappresentata la forza motrice dell’universo”. 

Una voce interrompe le mie riflessioni portando l’attenzione altrove. Voltandomi e riconoscendo la fonte di quelle parole, mi si accappona la pelle. Quella cosa, quella raffigurazione della mia persona partorita dalla grande massa, mi ha raggiunto ed ora dialoga con me.

“Ebbene, non c’è risposta perché non c’è fine e non c’è inizio. Ciò che c’è è ciò che è nel momento in cui ce ne accorgiamo. Cosa alimenta la rotazione dell’universo? La rotazione stessa. L’entropia porterà ad un cessazione dell’universo? L’entropia è la spesa per generare la complessità, ma fintanto che la complessità esisterà, l’insieme dei collegamenti che essa genererà porterà nuovamente ad alimentare la rotazione. La materia oscura è il ponte di questi collegamenti da cui fluisce l’energia oscura apparentemente inesistente, ma utile a lubrificare questi ingranaggi. Il moto degli ingranaggi ti ha permesso di scoprirli ed il tuo essere osservatore gli ha consentito delle probabilità di esistere”

Le parole pronunciate per me non hanno alcun senso, come non ha alcun senso questo viaggio insieme alle apparizioni che ha generato. Osservo sconcertato quella strana figura rendendomi irresistibile la possibilità di fare una domanda: “e se gli ingranaggi smettessero di ruotare?”

“Ah, a quel punto non esisterebbe la complessità e con essa la necessità di porsi queste domande, quindi non esiste la possibilità che l’universo smetta di ruotare, perché l’universo non esisterebbe seppur continuando ad esistere”

Sempre peggio, tutto questo è incomprensibile quasi irreale. Come una sensazione di accettazione profonda mi pervade. Come se tutto fosse come deve essere senza se e senza ma. Come qualcosa che comincia senza essere mai iniziato oppure che non può finire. Eppure questa cosa assume le varie forme distraendo ed eludendo la radice. E’ forse anch’essa una strategia per stimolare la complessità?

Intanto la figura continua ad essere davanti a me, a fissarmi e quasi a giudicare la mia ignoranza.

Disperato da questa condizione di staticità mi avvicino alla figura e con ferma decisione chiedo di avere spiegazioni su quanto sta accadendo: “nonostante le paure scaturite non credo più di temerti, ma ciò di cui narri presuppone delle conoscenze il cui accesso è estremamente remoto. Chi sei?”

“Io sono colui che ti ha avviato sul sentiero, guidato in certi casi con forza e deviato da altri quando non più proficui. Io sono Renzo Destini”.

…continua

Renzo Destini, in data 08/12/20.